Il procedimento disciplinare: dalla contestazione alla sanzione

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Quando un lavoratore dipendente omette di rispettare le prescrizioni previste dal CCNL di categoria, dal contratto di lavoro o dal codice di condotta aziendale può essere destinatario di una sanzione disciplinare.

Il nostro ordinamento non consente l’irrogazione di una sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro, ma prevede, obbligatoriamente, l’avvio della procedura di contestazione disciplinare a norma dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970).

Come deve essere predisposta una contestazione disciplinare?

La contestazione disciplinare deve necessariamente avere forma scritta.

La lettera di contestazione disciplinare deve contenere la descrizione puntuale di tutti i comportamenti tenuti dal lavoratore dipendente che il datore di lavoro eccepisce, ovvero i cosiddetti “addebiti”. È molto importante che gli addebiti siano tempestivi e puntuali per consentire:

  • al lavoratore dipendente, un’effettiva attività difensiva;
  • al datore di lavoro, di rendere la contestazione inoppugnabile anche in un eventuale successivo giudizio.

Quanti giorni ha a disposizione il datore di lavoro per recapitare una contestazione disciplinare?

Non esiste una norma che specifichi il tempo che deve intercorrere fra l’infrazione e l’emissione della lettera di contestazione. A ben vedere, sul punto, vige il principio della tempestività (o immediatezza). Infatti, il datore di lavoro che intenda emettere una contestazione disciplinare dovrà farlo nel più breve tempo possibile.

Sull’argomento è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che ha così statuito: “nel valutare l’immediatezza della contestazione occorre tener conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione” (Cass. n. 12193 del 22 giugno 2020).

Una contestazione disciplinare tardiva limita il diritto di difesa del lavoratore?

Ebbene sì, nella valutazione della tempestività è importante considerare che una contestazione disciplinare emessa dopo molto tempo dalla commissione delle infrazioni addebitate, potrebbe ledere il diritto di difesa del lavoratore. Infatti, è possibile che un fatto accaduto da molto tempo possa non essere ricostruito a dovere.

Non essendo quindi agevole ricostruire un ricordo a distanza di tempo, in questo caso si potrebbe configurare una lesione del diritto di difesa del lavoratore. Appare chiaro che tanto più la contestazione viene effettuata a ridosso degli addebiti, tanto più efficacemente il dipendente potrà difendersi.

Altro fattore di assoluta rilevanza è il principio di affidamento del lavoratore. Ed invero, se dovesse decorrere un tempo troppo lungo tra il fatto e la sua contestazione, il dipendente potrebbe essere indotto a pensare che il datore di lavoro abbia tacitamente scelto di non procedere ad alcuna contestazione o addirittura avalli tale comportamento.

È per questi motivi che un fattore fondamentale, per valutare la tempestività del datore di lavoro nell’azionare la procedura di contestazione sia proprio il momento dell’avvenuta conoscenza della condotta tenuta dal dipendente e non semplicemente al momento in cui la condotta sia stata tenuta.

Il concetto di tempestività della contestazione disciplinare mira a tutelare i principi di correttezza e buona fede. Deve quindi garantirsi il diritto di difesa del lavoratore dipendente, nel senso di consentirgli il pieno diritto di giustificare il proprio operato. Contestualmente, è necessario tutelare il legittimo affidamento del dipendente in relazione al carattere facoltativo dell’utilizzo della procedura disciplinare da parte del datore di lavoro.

Cosa deve fare il dipendente che riceve una contestazione disciplinare?

Il lavoratore subordinato che riceve una contestazione disciplinare deve riscontrare la stessa con le proprie giustificazioni entro e non oltre il termine di 5 giorni. Nello stesso termine il lavoratore può chiedere al datore di lavoro un’audizione per giustificare a voce gli addebiti ricevuti.

Solo una volta ricevute le giustificazioni del lavoratore dipendente, il datore di lavoro avrà la possibilità, se dovesse ritenerlo opportuno e dovessero ricorrerne i presupposti, di emettere un provvedimento disciplinare.

Esiste un tempo limite per l’emissione del provvedimento disciplinare?

Il nostro ordinamento non prevede una norma generale che sancisca un termine entro il quale la procedura disciplinare decada e/o diventi inefficace. Alcuni contratti collettivi prevedono delle scadenze specifiche.

Ad esempio, il CCNL Commercio e terziario – Confcommercio prevede che l’eventuale “adozione del provvedimento disciplinare dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento, entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni” (CCNL Commercio e terziario – Confcommercio, art. 240).

È quindi premura del datore di lavoro fare molta attenzione a ciò che afferma il CCNL di riferimento perché una sanzione non tempestiva potrebbe essere impugnata dal lavoratore ed essere annullata dal giudice del lavoro.

Concluso correttamente il procedimento disciplinare, in che modo potrà agire il datore di lavoro?

Giunti alla conclusione del procedimento disciplinare, qualora il datore di lavoro non dovesse reputare sufficienti le giustificazioni fornite dal lavoratore dipendente, potrà irrogare la sanzione disciplinare.

Al contrario, ove le giustificazioni fossero ritenute convincenti, il datore di lavoro potrà:

  1. concludere il procedimento disciplinare senza sanzioni;
  2. lasciar decadere il procedimento disciplinare senza prendere alcun successivo provvedimento.

Il procedimento disciplinare non è necessariamente sanzionatorio. Può essere anche un momento costruttivo di confronto tra il datore di lavoro ed il dipendente.

Quali sono le sanzioni che può irrogare il datore di lavoro?

La sanzioni disciplinari si dividono in due macro categorie:

  • conservative;
  • non conservative del rapporto di lavoro.

Il nostro ordinamento prevede diverse tipologie di sanzioni applicabili al lavoratore da irrogarsi proporzionalmente alla gravità del comportamento tenuto.

Tra le sanzioni conservative si annoverano:

  • il richiamo verbale;
  • il richiamo scritto;
  • la multa, rappresentata da una trattenuta in busta paga fino a un massimo di 4 ore di retribuzione base;
  • la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni;

Il licenziamento rappresenta chiaramente l’unico esempio di sanzione non conservativa.

I Contratti Collettivi Nazionali forniscono delle indicazioni e della casistica per orientare la scelta della sanzione più appropriata al caso concreto. Ciò è utile anche al lavoratore per valutare se la sanzione che ha subito sia proporzionata, oltre che tempestiva.

Attenzione: i contratti collettivi indicano soltanto delle linee generali dalle quali il datore di lavoro ed il lavoratore possono trarre indicazioni per la scelta della sanzione appropriata al caso di specie. Tali elencazioni non sono tassative ed inderogabili.

Cosa succede se la sanzione comminata dal datore di lavoro è sproporzionata?

Non di rado accade che il datore di lavoro possa irrogare una sanzione ben più grave di quella prevista dal contratto collettivo, ovvero ritenga irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario che sorregge il rapporto di lavoro e quindi proceda al licenziamento per giusta causa.

In questo caso il lavoratore dovrà impugnare il provvedimento disciplinare ricevuto, anche innanzi al giudice del lavoro o all’ispettorato territoriale competente secondo la procedura prevista dal contratto collettivo applicabile.

Aurelio Salata, avvocato civilista del Foro di Roma, con particolare esperienza nel diritto del lavoro e nella contrattualistica commerciale. Da circa dieci anni assiste prevalentemente piccole e media imprese su tutto il territorio nazionale. Già docente universitario a contratto in materia di protezione dei dati personali, è oggi membro della Commissione Privacy dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed è iscritto negli elenchi degli avvocati che l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America mette a disposizione dei propri concittadini che necessitano di assistenza legale nel nostro paese. Lo Studio Legale Salata è in grado di assistere a tutto tondo le imprese, estere ed italiane, che operano sul nostro territorio. I quattro pilastri su cui verte principalmente l’attività sono: - controllo di gestione volto alla massimizzazione del risparmio fiscale; - gestione dei rapporti di lavoro per un risparmio sul costo del personale; - contrattualistica commerciale finalizzata ad evitare il recupero del credito; - contenzioso giudiziario sia civile che tributario. L’attività professionale dell’avvocato Aurelio Salata è particolarmente apprezzata da società in fase di cambio generazionale o di transizione verso nuovi mercati, anche con riorganizzazione dei sistemi produttivi.

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