Salario minimo: Direttiva UE e impatto sull’Italia

0
572

La Direttiva UE sul salario minimo è di due anni fa (la n. 2022/2041) ma diventa attuale quest’anno – e non per caso se ne torna a parlare – perché stabilisce che «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 15 novembre 2024». D’altro lato la stessa Direttiva specifica che «Nessuna disposizione può essere interpretata in modo tale da imporre a qualsiasi Stato membro: a) l’obbligo di introdurre un salario minimo legale, laddove la formazione dei salari sia garantita esclusivamente mediante contratti collettivi, o b) l’obbligo di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile». A cosa serve dunque questa Direttiva? E cosa cambia per l’Italia?

Direttiva 2022/2041

La Direttiva ha un obiettivo esplicito: «migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive». A questo scopo interviene costruendo un quadro per conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose, la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi.

In pratica la Direttiva dispone una serie di condizioni per gli Stati che hanno un salario minimo legale, ovvero statuito per legge, e il rafforzamento del quadro di tutele dei lavoratori per gli Stati che adottano invece la contrattazione collettiva, come è per l’Italia. In pratica, il salario minimo può essere stabilito per legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale, o dalla combinazione della fonte normativa con la contrattazione collettiva.

Come ricorda l’Aran, «al di là dei salari minimi legali, la direttiva europea sottolinea l’importanza della fissazione dei salari nei contratti collettivi e impone agli Stati membri con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% di fornire piani d’azione. Infatti, per gli Stati membri senza salario minimo legale, la direttiva europea pone anche obblighi di rendicontazione sulle tariffe salariali più basse previste dai contratti collettivi che coprono i lavoratori a basso salario».

Salario minimo in Europa

Attualmente, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’UE, come segnalato anche nella documentazione parlamentare italiana. In particolare in 22 Paesi esistono salari minimi legali (l’ultimo ad adottarlo è stato Cipro), mentre in 5 Stati membri (Danimarca, Italia, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi. Tra i 10 Paesi candidati ad entrare nell’Unione Europea, inoltre, 8 hanno il salario minimo legale (Montenegro, Moldavia, Macedonia del Nord, Georgia, Albania, Serbia, Turchia e Ucraina) e due non lo hanno (Bosnia-Erzegovina e Kosovo). Infine, i Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), Norvegia, Svizzera e Islanda, non hanno un salario minimo nazionale.

Per avere un’idea, là dove c’è il salario “legale”, c’è una grande differenza da Stato a Stato, come attesta la ricerca di Euronews datata gennaio 2024. I minimi mensili lordi vanno infatti dai 477 euro della Bulgaria ai 2.571 euro del Lussemburgo. Tra i Paesi candidati si va dai 360 euro della Macedonia settentrionale ai 613 euro della Turchia.

Ma le differenze diminuiscono moltissimo se si parla di potere d’acquisto (legato ai prezzi effettivi praticati nei diversi Paesi). In Pps (purchasing power standard, ovvero un’unità di misura collegata ai prezzi), il salario minimo varia da 542 euro in Albania a 1.883 euro in Germania. Oltre alla Germania, questa cifra era superiore a 1.250 euro in Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Irlanda, Polonia, Slovenia e Spagna. Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Bulgaria hanno registrato il salario minimo in Pss più basso tra i Paesi dell’Ue, con un salario minimo in Pps inferiore a 1.000 euro. Alcuni Paesi candidati come la Turchia, la Serbia e il Montenegro hanno livelli salariali più alti rispetto a Paesi dell’Ue come l’Estonia, la Lettonia e la Bulgaria, ma la cifra è ancora inferiore a 1.000 euro per tutti i Paesi candidati e potenziali candidati per i quali sono disponibili i dati.

Tuttavia – come indicato nel report di gennaio 2024 di Eurofund, la Fondazione UE per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro – dopo un 2023 in cui il valore reale delle retribuzioni non ha tenuto il passo con l’aumento dei prezzi registrato dal 2021, il 2024 si preannuncia come l’anno in cui l’adeguamento dei minimi legale diventa una questione prioritaria, anche a causa dell’impatto della Direttiva UE.

Salario minimo in Italia

Nell’ordinamento italiano non esiste un livello minimo di retribuzione fissato per legge. I riferimenti però sono nella Costituzione, all’art. 36 che riconosce il diritto, per il lavoratore, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa, e all’art. 39 che attribuisce ai sindacati, previa registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, e ciò da parte di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti.

Proprio quest’ultima indicazione – ovvero la stipula di contratti collettivi validi per tutti i lavoratori di una singola categoria – non è stata attuata. Da ciò, scrive il Parlamento, due criticità: la mancata estensione nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla medesima categoria della efficacia dei contratti collettivi e una proliferazione degli stessi contratti collettivi (che nel 2021, secondo il CNEL, raggiungevano la quota di 992).

L’anno scorso in Italia sono state presentate – a cura delle opposizioni – diverse proposte di legge sul salario minimo. Nel dibattito in Parlamento, però, gli emendamenti della maggioranza hanno portato all’approvazione di una legge-delega al Governo “in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché di procedure di controllo e informazione”.

Il Governo ha sei mesi di tempo per varare il provvedimento. Ma quali sono gli elementi fondamentali che devono rientrare nel provvedimento governativo? Si tratta di individuare per ogni categoria di lavoratori i contratti di lavoro “maggiormente applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti”; a valere sui contratti maggiormente applicati definire il parametro di minimo delle condizioni economiche da corrispondere ai lavoratori di quella categoria; estendere questi minimi anche ad appaltatori e subappaltatori; estendere questi minimi anche ai lavoratori non raggiunti da alcuna contrattazione collettiva (individuando la “categoria affine” alla prestazione resa); prevedere modalità per favorire la contrattazione di secondo livello anche per “fare fronte alle esigenze diversificate derivanti dall’incremento del costo della vita e correlate alla differenza di tale costo su base territoriale”; prevedere strumenti di monitoraggio e comunicazioni obbligatorie; introdurre meccanismi di sostegno ai rinnovi contrattuali; prevedere l’intervento del Ministero del Lavoro in caso di contratti scaduti e non rinnovati nei termini e in caso di settori non coperti dalla contrattazione collettiva.

Direttiva UE e caso italiano

La Direttiva UE interviene specificatamente sostenendo che in ogni Stato in cui la contrattazione collettiva sia inferiore alla soglia dell’80%, si debbano prevedere misure a sostegno. L’Italia sembra non rientrare in questo caso perché la contrattazione collettiva italiana copre più dell’85%. Detto questo, i problemi individuati dagli osservatori sono due: il lavoro nero o sommerso, che non è tutelato né efficacemente monitorabile, e l’adeguatezza dei salari (soprattutto di quelli più bassi) nel nostro mercato del lavoro. Sul tema dell’adeguatezza dei salari le indicazioni dell’Unione Europea rischiano di essere “evanescenti” (come si legge in “Prime osservazioni sulla direttiva europea sul salario minimo”, Editore Giappichelli). Di fatto non c’è una misura specifica, un indicatore dettagliato. Si dice solo che l’adeguatezza va calcolata alla luce dei salari in media applicati nel Paese. Sul lavoro nero o sommerso, la discussione è ancora più problematica. Per un verso gli ultimi studi dell’Istat indicano in circa 3 milioni i lavoratori “non osservati” in Italia, in gran parte badanti e collaboratori familiari. Per altro verso il Governo introduce sanzioni più pesanti per i datori di lavoro che impiegano lavoratori dipendenti senza contratto (la sanzione di  43.200 euro è stata portata a 46.800 euro grazie al dl 19/2024 del PNRR) a partire dal I marzo di quest’anno. Ma da queste sanzioni sono esclusi i privati che richiedono assistenza a lavoratori domestici.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.