La deducibilità dei costi nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti

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La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l’ordinanza 5396 del 29 febbraio 2024, ha statuito che le spese ed i costi che sono sostenuti da società di capitali relativamente ad operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili anche se il contribuente acquirente conosceva il carattere fraudolento delle operazioni.

Cosa si intende per operazioni soggettivamente inesistenti?

Per operazioni soggettivamente inesistenti si intendono le operazioni effettivamente realizzate, ma non in capo ai soggetti che risultano dal punto di vista documentale. Pertanto in queste fattispecie vi è una intestazione fittizia di costi e/o prestazioni che tuttavia risultano effettivamente esistenti. Questa fattispecie si differenzia a quella delle operazioni oggettivamente inesistenti, dove per l’appunto, il soggetto emittente e quello ricevente sono quelli effettivamente indicati, ma la prestazione non è reale e/o occorsa.

Sono deducibili i costi e le spese per operazioni soggettivamente inesistenti anche se il cessionario è consapevole della frode?

Secondo la Corte di Cassazione in materia di Ires (imposta sui redditi delle società) e Irap (imposta regionale sulle attività produttive), i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, anche se inseriti in una frode carosello, sono deducibili.

Quindi, di fatto, la deducibilità viene giustificata sulla semplice constatazione della circostanza che il costo è stato effettivamente sostenuto dalla società a prescindere da ulteriori valutazioni.

Per la deducibilità si richiede la conoscenza del carattere fraudolento dell’operazione?

I costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili anche se l’acquirente è conscio del carattere fraudolento delle relative operazioni.

Nella citata ordinanza, infatti, la Corte ha testualmente statuito “Ha ragione pertanto la contribuente ad affermare che non rileva, ai fini della deducibilità dei costi, la consapevolezza dell’acquirente che la transazione commerciale conclusa abbia natura di operazione soggettivamente inesistente”.

Tale precisazione non deve passare inosservata e, anzi, potrebbe essere fondamentale strumenti dell’impianto probatorio di avvocati e commercialisti che si trovano a difendere società di capitali loro clienti in fattispecie simili a quella oggetto del giudizio cui si riferisce la pronuncia oggetto d’esame.

Ci sono eccezioni alla deducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti e rispetto alle quali si ha la consapevolezza del carattere fraudolento dell’operazione?

Si, l’eccezione alla deducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti è rappresentata dalla circostanza che i costi non devono essere in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Ancora, non deve trattarsi di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (cfr. Cass. 15599/2020 e 32587/2019).

Per i su richiamati principi, ex D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi” affinché “un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa” (cfr. tra le tante, Cass. n. 21184 dell’8 ottobre 2014).

Cos’è la frode carosello?

La frode carosello, definita anche truffa IVA carosello, è una forma di evasione fiscale che riguarda operazioni fraudolente nell’ambito dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e che mira a generare un diritto inesistente a detrarre l’IVA sugli acquisti.

Qual è l’onere della prova che grava sul contribuente?

Il contribuente deve provare che i costi per i quali richiede la deducibilità non sono in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Qual è la disciplina da cui si evincono i principi richiamati dalla Corte di Cassazione?

La disciplina si rinviene in tema di imposte sui redditi, nell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, con efficacia retroattiva atteso che la norma stabilisce espressamente che “ Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi

In base alla citata norma non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale ovvero qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ex art.  424 c.p.c. sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 c.p.

Qual è la ratio della normativa?

In base alla normativa richiamata e alla nuova definizione richiamata dalla Corte, di fatto, non sono deducibili, come si richiedeva in passato, i costi che erano ricondotti a “fatti, atti o attività qualificabili come reato”, ma risultano non deducibili esclusivamente i costi “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”.

Aurelio Salata, avvocato civilista del Foro di Roma, con particolare esperienza nel diritto del lavoro e nella contrattualistica commerciale. Da circa dieci anni assiste prevalentemente piccole e media imprese su tutto il territorio nazionale. Già docente universitario a contratto in materia di protezione dei dati personali, è oggi membro della Commissione Privacy dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed è iscritto negli elenchi degli avvocati che l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America mette a disposizione dei propri concittadini che necessitano di assistenza legale nel nostro paese. Lo Studio Legale Salata è in grado di assistere a tutto tondo le imprese, estere ed italiane, che operano sul nostro territorio. I quattro pilastri su cui verte principalmente l’attività sono: - controllo di gestione volto alla massimizzazione del risparmio fiscale; - gestione dei rapporti di lavoro per un risparmio sul costo del personale; - contrattualistica commerciale finalizzata ad evitare il recupero del credito; - contenzioso giudiziario sia civile che tributario. L’attività professionale dell’avvocato Aurelio Salata è particolarmente apprezzata da società in fase di cambio generazionale o di transizione verso nuovi mercati, anche con riorganizzazione dei sistemi produttivi.

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